I grandi Maestri del Museo di Madrid - Graziella Martina - In Spagna con Mérimée

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I grandi Maestri del Museo di Madrid
(Lettera al direttore della rivista "L'artista")

Caro Direttore,
il palazzo del Museo, situato nel quartie­re più elegante della città, fra il Prado e il Buen Retiro, è abbastanza bello. E circondato da ogni parte da alberi, una cosa rara e piacevole nel grande deserto arido che è Madrid. L'architettu­ra dell'esterno è senza carattere, ma produce un effetto gradevole. L'apertura del Museo, i cui lavori furono interrotti ' dalle sciagure della guerra' si deve a Maria Luisa, soprannominata la Portoghese. Sui muri si vedono ancora i ricordi dell'invasione del 1809 e si leggono distintamen­te le scritte tracciate da soldati francesi e inglesi, rievocanti le alterne fortune di queste eterne battaglie.  

In tutti i paesi, gli architetti sembrano prova­re piacere nel rendere un cattivo servizio ai pit­tori, come se ci fosse tra di loro una rivalità pro­fessionale. Nel costruire un Museo, la cosa che viene immancabilmente dimenticata è quella di illuminare a sufficienza i quadri. "Nel mio Museo ho bisogno di tante finestre sulla facciata - diceva un celebre architetto - che Raffaello e Tiziano si arrangino, io voglio prima di tutto le mie finestre. Del resto, un museo è un palazzo ornato di quadri."
I quadri del museo di Madrid non sono stati trattati meglio dei nostri. La luce è così mal distribuita che in quasi tutte le ore del giorno i quadri esposti di fronte alle finestre sono pres­soché invisibili. La luce cade a piombo sulle tele e vi si riflette come su uno specchio. Quanto ai dipinti appesi di fianco alle vetrate, li si vede, ma con qualche difficoltà e a loro svantaggio, perché si è abbagliati dalla luminosità del cielo di Spagna. Bisogna farsi schermo con il cappello per distinguere i toni fini e delicati dei Velasquez e dei Van Dyck.

Questo rimprovero non vale per la parte di Museo che contiene i capolavori di scuola italiana, che sono ben illuminati da una luce giusta che scende dall'alto. A essere sacrifi­cate sono la scuola spagnola e quella fiamminga. In autunno e in inverno, il pavimento è rico­perto di stuoie, come quello delle case signorili di Spagna. È un'attenzione verso il pubblico che mi piace e mi commuove. In una galleria, è importante che il visitatore non sia distratto da sensazioni sgradevoli come il freddo ai piedi, l'umidità o altre piccole miserie che cancellano le emozioni più dolci. Voglio anche ringraziare il direttore, che ha sistemato nel museo un certo numero di grandi e comodi canapè, sui quali ci si può sprofondare per abbandonarsi con indo­lenza alle piacevoli fantasticherie risvegliate dal­la vista di un capolavoro. Questi divani, in vel­luto rosso, bordati di frange dorate, sono serviti alle ultime Cortès. E poco verosimile che siano restituiti in breve tempo alla loro prima destina­zione.

L'orario di apertura del museo è molto pro­lungato. Il pubblico è ammesso due giorni alla settimana e gli stranieri possono entrare tutti i giorni presentando il passaporto. La domenica non è un giorno di apertura al pubblico e io rim­piango che non sia la stessa cosa a Parigi, dove, in questo giorno, una folla di domestiche, di operai e di soldati vengono a passeggiare nella galleria per puro passatempo. Essi guardano l'interno di una cucina di Drolling, il Giudizio finale di non so quale vecchio pittore tedesco, ammirano la grandezza dell'ardesia sulla quale Daniel de Volterre ha dipinto due volte Golia ucciso da Davide, ma in generale non prestano alcuna attenzione alle opere dei grandi maestri, che hanno la sfortuna di essere un po' annerite e velate.

Il risultato del loro passeggio è una pol­vere tremenda, che necessita di frequenti pulizie ed è dannosa per i quadri. Io vorrei che si mostrassero questi capolavori solo a quelli che possono o vogliono apprezzarli, anche se sarei contrariato se ci si comportasse come in Inghil­terra dove, per essere ammessi in una galleria pubblica, bisogna avere un abito di panno fino e tutto l'abbigliamento di un gentleman. Al museo di Madrid, invece, può entrare chiunque, in sti­vali o espadrillas, ben vestito o malvestito. Ma poiché nei giorni di apertura le persone del popolo sono al lavoro, i pochi che vengono alla galleria ci vengono con l'intenzione di vedere i dipinti e non di passeggiare in lungo e in largo. Dato che sacrificano la loro giornata per vedere quadri, si può supporre che siano dei veri appassionati. Quanti pittori illustri provengono dalla classe degli artigiani!

Spesso gli Spagnoli, mostrando le loro ricche collezioni di quadri o le loro magnifiche biblio­teche, sospirano e dicono tristemente: "Ahimè! Non abbiamo più niente. I Francesi ci hanno preso tutto!" Io trovo invece che essi hanno avu­to il torto di non prendere tanti tesori d'arte che spesso non sono apprezzati nel giusto valore dai legittimi proprietari. Il museo di Madrid, mal­grado quello che i Francesi hanno potuto porta­re via, è certamente uno dei più ricchi d'Europa.
E persino superiore al nostro, non per il numero dei quadri, ma per la loro qualità. Al museo di Madrid non si vede la quantità di opere me­diocri che al Louvre si è stupiti di vedere accan­to ai capolavori dei grandi maestri.
La parte del Museo che contiene le diverse scuole italiane è particolarmente ricca di Tiziano. Due ritratti di Filippo II e uno di Carlo V a caval­lo, mi sono sembrati del periodo migliore di que­sto maestro. Il quadro che mi ha dato più piace­re è una scena di baccanale, nella quale il colore acceso è unito a un disegno bello e accurato. Non so a quale artificio sia ricorso il pittore per dare l'idea della fermezza alle carni. Non ho mai visto nulla di più voluttuoso della figura della donna nuda che si trova a sinistra del quadro.
Fra molti bei Leonardo da Vinci, ho notato un ritratto di Monna Lisa Giocundo. Sembra che sia una copia di quello che abbiamo al Lou­vre, con qualche variazione: al posto del paesag­gio fantastico pieno di rocce aguzze che Leonar­do da Vinci amava, c'è un fondo molto scuro e uniforme. Anche il colore del drappeggio è diverso.

Agli stranieri si chiede di estasiarsi davanti a un quadro di Raffaello, che ha il colore dei mat­toni e che rappresenta Gesù Cristo che porta la croce. È il famoso Spasimo di Sicilia che abbia­mo già visto a Parigi, dove è stato restaurato. Questo quadro non mi è piaciuto per niente. La maggior parte delle figure fa delle smorfie e i discepoli di Gesù e le sante donne sono talmen­te robusti e muscolosi che non hanno scuse per non cercare di dare una mano e salvare il loro dolce maestro. Non posso concepire un aposto­lo che non sia magro, estenuato dal digiuno. San Giovanni doveva essere l'opposto di un atleta. Scommetterei che era un bel giovane pallido e fragile, con un'espressione malinconica, non una specie di scassinatore dall'espressione feroce, che avrebbe intimidito anche Erode e Pilato. Mi è stato detto che, durante il restauro, questo quadro è stato ridipinto. Spero proprio che sia andata così. Accanto, c'è una Sacra Famiglia di Raffaello, che mi è parsa ben superiore allo Spa­simo. Ma i due Raffaello più belli che abbia mai visto sono all'Escurial. Sono la Vergine della Per­la e la Vergine del Pesce. Raccomando ai viag­giatori, come capolavoro di espressione, la testa della Vergine che tiene fra le braccia il figlio morto, di Crespi.

La galleria fiamminga e olandese contiene più quadri di quella italiana. Si nota un numero prodigioso di Rubens, la maggior parte dei qua­ eccellenti. Non finisco mai di stupirmi della fecondità di questo maestro, che univa all'occu­pazione di pittore quella d'ambasciatore e di uomo di piacere. Dove trovava il tempo di lavo­rare? In questo museo si trova l'originale della famosa Isola d'amore, di cui esistono tante copie, che fa da pendant a un altro quadro mol­to bello, ma di soggetto assai diverso: un curato che porta il viatico a un ammalato. Di tutte le opere di Rubens, quella che mi ha colpito di più per le espressioni nobili e sincere dei personaggi, è quello che conosciamo sotto il nome di Ser­pente di bronzo. Mosè, accompagnato da Aaron, arringa gli Ebrei, fa loro dei rimproveri che, evi­dentemente, vanno per le lunghe e che conten­gono una sfumatura ironica. Un uomo si getta faccia a terra ai piedi di Mosè per chiedere la grazia. Un altro, slanciandosi verso di lui con le braccia tese, sembra urlare di dolore e di spa­vento.

A destra dello spettatore, una ragazza morsa da un serpente sembra sul punto di soc­combere al veleno. Non può parlare, ma guarda il profeta con aria supplichevole. Sua madre cer­ca di strappare via il serpente che avvolge anco­ra la giovane fra le sue spire e alcuni Ebrei la indicano a Mosè come la cosa più capace di cal­mare la sua collera. Nei quadri di Rubens il colore è sempre bello. In questo, sono belli anche il disegno e l'espressione. La testa della giovane morente è mirabile. Neanche i maestri italiani hanno più grazia e capacità espressiva.
Non ho visto molti Van Dyck in questa galle­ria, ma si dice che essa ospiti la più ricca colle­zione d'Europa di Téniers. Vi sono anche dei bellissimi Metsu, dei Cuyp, dei Jordaens e molti quadri di animali di Snyders.

Naturalmente questo museo possiede un gran numero di quadri di scuola spagnola. Ho visto una collezione di Velasquez con i ritratti di Carlo IV e della sua famiglia al posto d'onore. Le opere di questo maestro sono rare, anche in Spagna, ma ho potuto ammirare la varietà del suo stile. A volte i suoi ritratti sono dipinti con una cura minuziosa, a volte sono dipinti a effetto. In ogni caso, egli rie­sce, sempre a rendere in modo mirabile il colorito e la freschezza dell'incarnato. Se c'è un rimprove­ro da fargli è che abbia dato ai suoi personaggi un'espressione troppo uniforme. Sono tutti un po' altezzosi e seri. Del resto, può darsi che Velasquez l'abbia fatto per imitare scrupolosamente la natu­ra. Egli dipingeva la corte, e che corte! E forse strano che tutti i ritratti abbiano la stessa espres­sione di sussiego e di mancanza di idee?
Non mi piace il modo in cui egli compone i suoi quadri di soggetto storico. La resa di Bre­ma, per esempio, è un susseguirsi di ritratti di personaggi che sono più preoccupati di chi li guarda che dell'azione che devono compiere. I paesaggi di Velasquez sono dei mirabili schizzi, con un colore e un effetto prodigiosi.

Il museo ospita anche una collezione comple­ta di Murillo. I diversi stili che egli ha adottato nelle differenti epoche della sua vita sono rap­presentati da un gran numero di esempi. E degno di nota che Murillo non abbia mai lascia­to la Spagna e che abbia visto solo un piccolo numero di opere dei grandi maestri delle Fian­dre e d'Italia. Ha cercato i suoi modelli nella natura che aveva sotto gli occhi. Credo che nes­sun pittore sia più originale e più privo di maniera di lui. Per questa ragione le sue opere, nelle quali egli non ha idealizzato la realtà, sono così difficili da copiare. Nel primo periodo della sua attività, egli non sceglieva i modelli per la loro bellezza.

Si diceva persino che avesse una predilezione per le fisionomie selvagge e feroci che si incontrano così frequentemente fra gli uomini del popolo nel sud della Spagna. Più tar­di, egli comprese la grazia e la espresse. E l'inventore del tipo di Vergine che ritroviamo a Siviglia, sua città natale, a Cadice e nel mezzo­giorno della Penisola. Si dice che sua figlia gli sia servita spesso da modella per le madonne, che generalmente non hanno l'espressione di purez­za divina che si attribuisce alla madre di Dio, ma sono delle giovani passionali e malinconiche, che non hanno ancora avuto un amante.

Se aves­si potuto portare con me uno dei quadri del Museo di Madrid, avrei scelto San Bernardo in preghiera visitato dalla Vergine, che fa cadere nella bocca del Santo qualche goccia del suo lat­te divino. Non credo che ci sia un quadro più capace di questo di far peccare un monaco devo­to, ma giovane. La Vergine è così graziosa e mostra talmente tante bellezze di solito nascoste ai profani, che il diavolo ha buon gioco a eccita­re i sensi. Leggete il Monaco di Lewis.
Tuttavia, i quadri più belli di Murillo non sono al Museo Reale. La Santa Elisabetta, il Miracolo della montagna coperta di neve, che abbiamo visto a Parigi, sono all'Accademia Rea­le e bisogna andare a Siviglia per scoprire tutta la potenza del suo talento. Il chiostro dei Cap­puccini, la chiesa della Carità e quella degli Ago­stiniani contengono, credo, i suoi capolavori. Dopo le opere di questi due grandi maestri, si possono vedere con piacere anche quelle di Ribeira, Alonso Cano, Roelas, Zurbaran, Moralès, Pacheco Tobar, Leonardo e tanti altri, i cui nomi sono pressoché sconosciuti fuori della Spagna.

Oltre alle gallerie pubbliche, il Museo ha una parte riservata, visibile solo a chi è in possesso di un biglietto particolare, che contiene delle nudità che potrebbero turbare le signore. Ricor­diamoci che la patronessa del museo è una gio­vane regina.
Vedendo questa sala particolare, si è un po' delusi nel non trovarla più indecente. D'altra parte essa contiene dei quadri di prima qualità di Rubens, Tiziano, Paolo Veronese e altri. Mi hanno particolarmente colpito Diana che fa spo­gliare Callisto, le Ninfe sorprese dai satiri di Rubens e una Donna coricata su un letto di ripo­so di Tiziano. Ho anche notato una Eva molto bella di Albrect Diirer ed ho osservato una magnifica Didone, che credo sia di Correggio. Ma ho visto troppe cose belle insieme e i miei occhi sono abbagliati. Come non bisogna guardare in faccia il sole, così non bisogna guar­dare in un giorno tutti gli astri della pittura, in particolare i coloristi. È troppo.

 

 
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