I ladri - Graziella Martina - In Spagna con Mérimée

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I ladri

Madrid, novembre 1830

Signore,
eccomi di ritorno a Madrid, dopo aver percorso per parecchi mesi e in tutti i sensi l'Andalusia, classica terra di ladri, senza incon­trarne uno solo. Quasi me ne vergogno. Mi ero preparato a un attacco di briganti, non per difendermi, ma per parlare con loro e gentil­mente fare domande sul loro genere di vita. Guardando il mio abito logoro ai gomiti e il mio bagaglio striminzito, rimpiango di non aver incontrato questi signori. La perdita di una pic­cola sacca da viaggio avrebbe rappresentato un prezzo ben misero per il piacere di incontrarli.
Se non ho visto i ladri, in compenso non ho sentito parlare d'altro. I postiglioni e gli alberga­tori raccontano storie incresciose di viaggiatori assassinati e di donne rapite alle fermate che si fanno per cambiare i muli. Gli episodi riferiti sono sempre successi il giorno prima e sul tratto di strada che si sta per percorrere.

Il viaggiatore che non sa nulla della Spagna e che non ha anco­ra avuto il tempo di assorbire la sublime noncu­ranza castigliana, la flema castellana, anche se incredulo, non può fare a meno di restare un po' impressionato da quei racconti. Qui il crepusco­ lo non dura che un istante e la sera scende con molta più rapidità che nei nostri climi settentrio­nali. Poi, soprattutto vicino alle montagne, arriva un vento che a Parigi sembrerebbe caldo ma che qui, dopo la calura del giorno, è freddo e sgra­devole. Mentre ci si avvolge nel mantello e si calca il berretto sugli occhi, si nota che gli uomi­ni della scorta (escopeteros) gettano via il deto­natore dei fucili senza sostituirlo. Stupiti da que­sto gesto singolare, se ne chiede la ragione. La risposta dei bravi, dall'alto dell'imperiale dove stanno appollaiati, è che essi hanno tutto il coraggio di questo mondo, ma non possono opporsi a un'intera banda di ladri. "Se siamo attaccati, non abbiamo intenzione di difenderci." "Allora perché ci siamo portati dietro questi uomini e i loro inutili fucili?"

"Oh! Essi sono eccellenti contro i rateros, i briganti dilettanti che depredano i viaggiatori quando si presenta l'occasione e che non sono mai più di due o tre."
Il viaggiatore si pente di aver preso con sé tanto denaro. Guarda l'ora e pensa che è l'ulti­ma volta che sta consultando il suo orologio di Bréguet e che sarebbe stato molto meglio averlo lasciarlo appeso sopra al camino nella casa di Parigi. Chiede al mayoral, il conducente, se i ladri portano via anche gli abiti ai viaggiatori. "Qualche volta, signore. Il mese scorso la diligenza di Siviglia è stata fermata nei pressi della Carlota e tutti i viaggiatori hanno fatto il loro ingresso a Ecija come dei piccoli angeli." "Dei piccoli angeli! Che volete dire?"
"Voglio dire che i banditi li hanno derubati di tutti i vestiti e non hanno lasciato loro nemme­no la camicia."
"Diavolo!" grida il viaggiatore abbottonan­dosi la redingote. Ma vedendo una graziosa Andalusa, sua compagna di viaggio, che si bacia devotamente il pollice sospirando ”Jesus,Jesus!”, si rassicura un po' e sorride. Si sa che chi si bacia il pollice dopo aver fatto il segno della croce non manca di trovarsene bene.

É ormai notte fonda, ma per fortuna c'è una luna splendente in un cielo senza nubi. Lontano, si scorge l'entrata di una gola spaventosa lunga almeno mezza lega.
"Mayoral, è stata fermata là la diligenza?"
"Sì, Signore, e un viaggiatore è stato am­mazzato. Postiglione — prosegue il mayoral — non fare schioccare la frusta per non avvertirli." "Chi?" chiede il viaggiatore.
"I ladri", risponde il mayoral.
"Diavolo!" grida il viaggiatore.
"Signore, guardate là in basso, dove la strada fa una curva... Non vi sono degli uomini che si stanno nascondendo all'ombra di quella grossa roccia?"
"Sì, Signora; uno, due, tre, sei uomini a cavallo!"
"Ah! Gesù! Gesù!... (Segno della croce e ba­ciamente del pollice.)
"Mayoral, li vedete là in basso?"
"Sì."
"Eccone uno che impugna un grosso bastone, forse un fucile..."
"È un fucile."
"Credete che siano brave persone? (buena gente)" domanda ansiosamente la giovane Anda­lusa.
"Chissà" risponde il mayoral, alzando le spal­le e abbassando gli angoli della bocca.
"Allora, che Dio ci perdoni tutti!" E nascon­de il viso nel gilet del viaggiatore, doppiamente emozionato.

La diligenza, trainata da otto vigorosi muli al gran trotto, va come il vento. I cavalieri che ave­vamo visto da lontano si fermano e si dispongo­no in fila... è per sbarrare il passaggio... no, la linea si apre e tre si spostano a sinistra, tre a destra della strada... evidentemente, vogliono circondare la vettura da ogni parte.
"Postiglione! Fermate • i muli se quella gente ve lo comanda, non rischiate di attirarci una sca­rica di colpi di fucile!"
"State tranquillo, Signore, sono più interessa­to di voi a evitarlo."
Siamo così vicini che distinguiamo i grandi cappelli, le selle turche e le ghette di cuoio bian­co di sei cavalieri. Se potessimo vedere i loro visi, che occhi, che barbe e che cicatrici vedrem­mo! Non ci sono dubbi, sono dei ladri, perché sono tutti armati di fucili.
Il primo ladro si tocca con la mano la falda del cappello e, con un tono di voce dolce e profondo, dice: ”Vayan Vds. con Dios!” Andate con Dio! É il saluto che i viaggiatori si scambia­no tra di loro sulla strada. ”Vayan Vds. con Dios!" dicono a loro volta gli altri cavalieri met­tendosi gentilmente di lato per lasciar passare la diligenza. Sono degli onesti contadini che si sono attardati al mercato di Ecija e che stanno tornando al loro villaggio. Viaggiano in gruppo e armati per la grande preoccupazione dei ladri, della quale ho parlato.

Dopo qualche incontro di questo tipo si smette del tutto di credere ai ladri. Ci si abitua talmente alle figure un po' selvagge dei contadini che anche i briganti veri finiscono per sem­brare onesti lavoratori che da tempo non si fanno la barba. Un giovane inglese, di cui ho fatto la conoscenza a Granada, aveva percorso a lungo e senza incidenti tutte le strade più peri" colose della Spagna. ed era arrivato a negare recisamente l'esistenza dei ladri. Un giorno egli venne fermato da due uomini dall'aspetto minaccioso, armati di fucili. Pensò subito che fossero dei contadini un po' brilli, che volevano divertirsi a fargli paura e alle loro ingiunzioni di tirare fuori i soldi, rispose ridendo e dicendo che non era il loro gonzo. Per fargli capire che non era uno scherzo, uno dei banditi dovette assestargli un colpo in testa con il calcio del fucile. Tre mesi dopo, mostrava ancóra la cica­trice.
E raro che i banditi spagnoli maltrattino i viaggiatori. Spesso si limitano a prendere i soldi che essi hanno addosso, senza aprire i bagagli e senza perquisirli. Tuttavia, non bisogna fidarsi. Un giovane elegante di Madrid che andava a Cadice con due dozzine di belle camicie fatte venire da Londra, venne fermato dai briganti nei pressi della Carolina.

Dopo avergli preso le monete che aveva nella borsa, gli anelli, le cate­ne ei ricordi di valore affettivo, che un uomo così 'appassionato non poteva fare a meno di avere, il capo dei ladri gli fece notare con gentilezza che la biancheria degli uomini della sua banda, obbligati, a evitare i centri abitati, aveva un gran bisogno di essere lavata. Le camicie furono spiegate e ammirate e il capitano ne mise qualcuna nella bisaccia dicendo, come Hali il Siciliano, fra cavalieri questa libertà è permessa.
Poi si liberò degli stracci neri che indossava da almeno sei settimane e si rivestì della bella bati­sta del suo prigioniero. Gli altri ladri fecero altrettanto e lo sfortunato viaggiatore si trovò, in un istante, spogliato di tutto il suo guardaro­ba e in possesso solo di un mucchio di stracci neri, che non avrebbe osato toccare neanche con la punta della canna. In più, dovette anche subi­re la derisione dei briganti. Il capitano, conge­dandolo con il motteggio fintamente serio che gli Andalusi sanno usare così bene, gli disse che non avrebbe mai dimenticato il servizio che gli era stato reso. Aggiunse che sarebbe stata sua premura restituire le camicie che il giovane ave­va voluto prestargli, riprendendosi le proprie non appena avesse avuto l'onore di rivederlo. "Soprattutto - aggiunse - non dimenticate di far lavare le camicie di questi Signori. Le ripren­deremo al vostro arrivo a Madrid."

Dopo aver raccontato il furto di cui era stato vittima, il giovane mi disse che gli era più diffi­cile perdonare ai ladri le loro battute di scherno che non la sottrazione delle camicie. Il governo spagnolo ha tentato più volte, con serietà e in epoche diverse, di liberare le strade importanti dai ladri che se ne sono impadroniti da tempo immemorabile, ma non è mai giunto a risultati definitivi. Appena una banda veniva annientata, se ne formava subito un'altra. E suc­cesso che un capitano generale sia giunto, con grande sforzo, a scacciare tutti i ladri dal territo­rio sotto la sua giurisdizione con il risultato, però, di farli riversare nelle province vicine.
La natura del paese, irto di montagne e con strade poco frequentate, rende difficile la distru­zione totale dei briganti. In Spagna, come in Vandea, c'è un gran numero di fattorie isolate, le aldeas, che sono lontane molte miglia dal più vicino centro abitato. Se si presidiassero tutte le mezzadrie e tutte le piccole frazioni, si costrin­gerebbero i ladri a consegnarsi alla giustizia per evitare di morire di fame, ma dove prendere il denaro? E dove trovare tutti quei soldati?

Si avverte che i proprietari delle aldeas sono interessati a conservare buoni rapporti con i bri­ganti, dei quali temono la vendetta. D'altra par­te, questi ultimi contano sui mezzadri per la pro­pria sussistenza, li foraggiano, pagano bene le cose di cui hanno bisogno e, a volte, li fanno partecipare alla spartizione del bottino. Bisogna aggiungere che la professione di ladro non è affatto considerata disonorevole. Rubare sulle grandi strade è, agli occhi di molta gente, fare dell'opposizione, una forma di protesta contro le leggi tiranniche: Ora, l'individuo che, disponen­do solo di un fucile, si sente abbastanza corag­gioso da sfidare il governo, è un eroe rispettato dagli uomini e ammirato dalle donne. E glorio­samente certo di poter gridare, come nelle vec­chie romanze:
A todos los desafio,
Pues d nadie tengo miedo

Di solito un ladro comincia come contrab­bandiere, un'attività disturbata dai funzionari di dogana. Perseguitare un galantuomo che vende a buon mercato dei sigari migliori di quelli del re e che rifornisce le donne di tessuti di seta e di mercanzia inglese e riporta i pettegolezzi di una zona compresa nel raggio di dieci leghe, è consi­derata una palese ingiustizia da parte dei nove decimi della popolazione. Ogni volta che un doganiere uccide o porta via il cavallo a un con­trabbandiere, questi è rovinato. Allora, per ven­dicarsi, si trasforma in ladro. Quando si chiede in giro che cosa ne sia stato del bel ragazzo che fino a qualche mese prima era un gran seduttore.
"Ahimè! — risponde una donna — è stato obbliga­to a darsi alla macchia. Non è colpa sua, povero ragazzo! E così dolce! Che Dio lo protegga!"
Le anime buone attribuiscono al governo la responsabilità di tutte le violazioni commesse dai ladri. Esso esaspera la povera gente, che non chiederebbe di meglio che di restarsene tranquil­la e di vivere del proprio lavoro.

Il modello del brigante spagnolo, il prototipo dell'eroe che opera sulle grandi vie di comunica­zione, il Robin Hood, il Roque Guinar del nostro tempo, è il famoso Josè Maria, sopranno­minato el Tempranito, il mattiniero. E l'uomo di cui si parla di più da Madrid a Siviglia, da Sivi­glia a Malaga. Bello, prode, cortese quanto può esserlo un ladro, questo è Josè Maria. Se ferma una diligenza, dà la mano alle signore per aiu­tarle a scendere e si preoccupa che siano sedute comodamente all'ombra, perché è di giorno che compie la maggior parte delle sue imprese. Mai un'imprecazione, mai una parola volgare, al contrario, sguardi quasi rispettosi e una gentilez­za naturale che non si smentisce mai. Toglie un anello dal dito di una dama: "Ah! Signora, la vostra mano è così bella che non ha bisogno di ornamenti". E, come ha riferito una signora spa­gnola, mentre lo sfila bacia la mano con un'espressione tale da far credere che per lui quel bacio ha più valore dell'anello. L'anello lo prende per distrazione, il bacio invece lo fa durare a lungo. Mi è stato, assicurato che egli lascia sempre ai viaggiatori denaro sufficiente per raggiungere la città più vicina e che non ha mai rifiutato a nessuno il permesso di conserva­re un gioiello che i ricordi rendevano prezioso.

Josè Maria mi è stato descritto come un uomo alto, fra i venticinque e i trent'anni, ben fatto, con una fisionomia aperta e ridente, denti bianchi come perle e occhi notevolmente espres­sivi. Di solito porta un costume da majo molto ricco. La sua biancheria è sempre di un candore luminoso e le sue mani farebbero onore a un uomo elegante di Parigi o di Londra.
E solo da cinque o sei anni che vive di sac­cheggi e ruberie sulle grandi strade. I suoi geni­tori lo avevano destinato alla Chiesa ed egli stu­diava teologia all'università di Granada, ma la sua vocazione non doveva essere molto forte, perché una notte si introdusse in casa di una signorina di buona famiglia. L'amore fa perdona­re molte cose, ma in quel caso si è parlato di violenza, di un domestico ferito... non sono mai riuscito a far chiarezza su quella storia. Il padre della ragazza fece molto rumore e venne iniziato un processo penale. Josè Maria fu costretto ad espatriare e andò in esilio a Gibilterra. Era senza soldi e stipulò un accordo con un negoziante inglese per far arrivare di contrabbando una for­te partita di merce proibita. Fu tradito da un uomo al quale aveva confidato il suo progetto e i doganieri, venuti a conoscenza del piano, gli tesero un agguato lungo la strada su cui doveva passare. Perdette tutti i muli e, nel corso di uno scontro accanito, uccise e ferì parecchi doganie­ri. Da quel momento, non ebbe altre risorse che taglieggiare i viaggiatori.

Fino ad oggi, egli è stato accompagnato da una fortuna straordinaria. Sulla sua testa c'è una taglia di ottomila reali per chi lo consegna vivo o morto e i suoi dati segnaletici sono affissi alle porte di tutte le città. Tuttavia, Josè Maria continua impunemente il suo mestiere pericolo­so e le sue scorribande vanno dal confine del Portogallo al regno di Murcia. La sua banda non è numerosa, ma è composta da uomini di straor­dinaria fedeltà e determinazione. Un giorno, alla venia de Gazin, alla testa dì una dozzina di uomini scelti, riuscì a sorprendere e a disarmare settanta volontari realisti mandati a catturarlo.
Fu visto riguadagnare la montagna a passi lenti, spingendo davanti a sé due muli carichi di set­tanta tromboni, portati come trofei.

La sua abilità a sparare è leggendaria. Riesce a colpire un tronco d'olivo a centocinquanta passi su un cavallo, lanciato al galoppo. La seguente descrizione fa conoscere la sua abilità e la sua generosità.
Il capitano Castro, un ufficiale pieno di coraggio e di energia, che dà la caccia ai ladri per soddisfare una vendetta personale oltre che per adempiere al suo dovere di militare, venne a sapere da uno dei suoi informatori che Josè Maria si sarebbe trovato il tal giorno in una aldea' isolata, dove aveva un'amante. Nel giorno indicato Castro partì a cavallo, prendendo con sé solo quattro lancieri, per non dare nell'occhio e non destare sospetti. Ma nonostante le precau­zioni per tenere segreto il piano, Josè Maria venne a saperlo. Quando Castro, dopo aver attraversato una gola profonda, entrò nella valle in cui si trovava l'aldea dell'amante del suo nemico, apparvero all'improvviso al suo fianco dodici uomini con ottime cavalcature, che gli chiusero la ritirata. I lancieri si credettero per­duti. Un uomo su di un cavallo baio si staccò dal gruppo e si fermò a cento passi da Castro. "E impossibile prendere di sorpresa Josè Maria! — gridò — Capitano Castro, che cosa vi ho fatto perché vogliate consegnarmi alla giustizia? Potrei uccidervi, ma gli uomini di cuore sono diventati rari ed io vi lascio in vita. Ecco un ricordo che vi indurrà ad evitarmi. Al vostro schako!"

Così dicendo, prese la mira e colpì con una palla la punta del cappello del capitano. Poi fece dietrofront e scomparve con la sua banda.
Ecco un altro esempio della sua cortesia.
In una fattoria nei dintorni di Andujar si festeggiava un matrimonio. Gli sposi avevano già ricevuto le congratulazioni di amici e paren­ti e i commensali stavano per mettersi a tavola sotto un grande fico davanti alla porta di casa. Tutti si sentivano ben disposti e il profumo dei gelsomini e degli aranci si mescolava a quello dei piatti, così abbondanti da far piegare il tavolo sotto al loro peso. All'improvviso, da un boschetto a tiro di pistola, apparve un uomo a cavallo. Lo sconosciuto saltò a terra con agilità, salutò con un gesto della mano i convitati e portò il cavallo nella scuderia. Non era atteso, ma in Spagna chi è di passaggio è ben accolto e invitato a dividere il banchetto di una festa. Inoltre, a giudicare dai vestiti, l'uomo sembrava una persona importante. Lo sposo gli andò incontro per invitarlo a mangiare.

Mentre tutti si chiedevano chi fosse il nuovo arrivato, il notaio di Andujar, presente al ban­chetto, era diventato pallido come un morto. Cercava di alzarsi dalla sedia che occupava di fianco alla sposa, ma le ginocchia si piegavano sotto di lui e le gambe non volevano saperne di sostenerlo. Uno degli invitati, da lungo tempo sospettato di essere un contrabbandiere, si avvi­cinò alla sposa:
"Quell'uomo è Josè Maria — sussurrò — Posso sbagliarmi, ma viene a portare sventura (para hacer una muerte). E al notaio che mira. Ma cosa possiamo fare? Farlo scappare?" "Impossibile. Josè Maria lo raggiungerebbe subito."
"Arrestare il brigante?"
"Ma la sua banda è sicuramente qui nei din­torni. D'altra parte, egli è armato di pistole e pugnale."
"Ma, Signor Notaio, che cosa gli avete fatto?" "Ahimè, nulla! Assolutamente nulla!"
Qualcuno mormorò a bassa voce che, due mesi prima, il notaio aveva detto al suo fattore che se Josè Maria fosse mai venuto a chiedergli da bere, gli avrebbe messo dell'arsenico nel vino.
Si stava ancora deliberando e non si era dato neanche il primo taglio alla olla, quando lo sconosciuto riapparve, seguito dallo sposo. Non c'era alcun dubbio, era proprio Josè Maria. Gettò di sfuggita un'occhiata da tigre al notaio, che si mise a tremare come se avesse avuto i brividi di febbre, poi salutò con grazia la sposa e le chiese il permesso di ballare alle sue nozze. Ella non ebbe il coraggio di rifiutare né di avere un'aria dispia­ciuta. Josè Maria prese uno sgabello di sughero, lo avvicinò al tavolo e si sedette con semplicità accanto alla sposa, fra lei e il notaio, che sembra­va sul punto di svenire a ogni momento.

Si cominciò a mangiare. Josè Maria era pieno di attenzioni e di piccole premure per la sua vici­na. Quando venne servito il vino speciale, la sposa prese un bicchiere di Montilla (che, secon­do me, è migliore dello Xeres) lo toccò con le sue labbra e lo offrì al bandito. E una gentilezza che si fa a tavola verso le persone per le quali si ha rispetto. E quella che si chiama una fineza. Purtroppo, è un'usanza che si va perdendo nella buona società che, qui come altrove, è sollecita nel liberarsi di tutti i costumi nazionali. Josè Maria prese il bicchiere, ringraziò con effusione e disse alla sposa che la pregava di considerarlo suo servitore e che avrebbe fatto con gioia tutto quello che lei volesse ordinargli. Allora lei, tutta tremante, chinandosi timida­mente verso il suo terribile vicino: "Accordatemi una grazia" gli disse all'orecchio. "Mille!" esclamò Josè Maria.
"Dimenticate, vi scongiuro, le cattive inten­zioni con cui siete venuto qui. Promettete che per amor mio perdurerete i vostri nemici e che non vi saranno scandali alle mie nozze."
"Notaio! — disse Josè Maria, girandosi verso l'uomo di legge che continuava a tremare — ringraziate la Signora. Senza di lei, vi avrei ucci­so prima ancora che aveste il tempo di digerire il pranzo. Non abbiate paura, non vi farò più al­cun male."
Poi, versandogli un bicchiere di vino, aggiun­se con un sorriso un po' cattivo:
"Su, notaio, bevete alla mia salute! Questo vino è buono e non è avvelenato."
Lo sventurato notaio aveva l'impressione di inghiottire centinaia di spilli.
"Forza, ragazzi! State allegri (vaya de broma)! - esclamò il ladro — Viva la sposa!"
E alzandosi con slancio, corse a cercare una chitarra e si mise a improvvisare una strofa in onore dei novelli sposi.

Per il resto del pranzo e del ballo che seguì, si rese talmente amabile che le donne avevano le lacrime agli occhi al pensiero che un ragazzo così affascinante un giorno sarebbe forse finito sulla forca. Egli ballò, cantò, si fece in quattro con tut­ti. Verso mezzanotte, una ragazzina di dodici anni, coperta a malapena di stracci, si avvicinò a Josè Maria e gli sussurrò qualche parola nel ger­go degli zingari. Josè Maria trasalì, corse verso la scuderia e tornò con il cavallo. Avanzando verso la sposa con un braccio infilato nella briglia: "Addio - disse - ragazza del mio cuore (hija de mi alma), non dimenticherò mai i momenti che ho passato vicino a voi. Sono i più felici che abbia avuto da molti anni a questa parte. Sia­te buona e accettate questa bagattella da un povero diavolo che vorrebbe avere una miniera da offrirvi".
Nel dire questo, le porse un anello grazioso.
"Josè Maria! - esclamò la sposa - fino a quando in questa casa ci sarà un pezzo di pane, la metà sarà per voi".

Il ladro strinse la mano a tutti i commensali, compreso il notaio, abbracciò le donne, poi sal­tando agilmente in sella, riguadagnò le monta­gne. Solo allora il notaio ricominciò a respirare liberamente. Mezz'ora dopo arrivò un distacca­mento di micheletti, ma nessuno aveva visto l'uomo che cercavano.
Il popolo spagnolo, che conosce a memoria le romanze dei Dodici Pari e canta le prodezze di Renaud de Montauban, non può fare a meno di interessarsi al solo uomo che, in un tempo pro­saico come il nostro, fa rivivere le virtù cavalle­resche degli antichi prodi. E c'è un altro motivo che contribuisce ad aumentare la popolarità di Josè Maria. Egli è estremamente generoso. Guadagnare soldi non gli costa nulla e li spende con facilità in compagnia degli sfortunati. Si dice che mai un povero disgraziato si sia rivolto a lui sen­za ricevere un'elemosina abbondante.
Un mulattiere mi raccontava di essere stato sul punto di gettarsi a testa in giù nel Guadal­quivir per aver perso il mulo che  era tutta la sua . fortuna, quando uno sconosciuto consegnò a sua moglie una scatola con sei once d'oro. Egli non dubitò mai che fosse un regalo di Josè Maria al quale, un giorno in cui era inseguito da vicino dai micheletti, egli aveva indicato un guado.
Per finire, descriverò un ultimo aspetto della generosità del mio eroe.

Un povero venditore ambulante dei dintorni di Campillo de Arenas, stava portando in città alcune otri contenenti aceto, secondo l'usanza del paese. Il carico era portato da un asino magro, tutto spelacchiato e mezzo morto di fame. Uno straniero, che dal costume sembrava un cacciatore, incontrò il commerciante di aceto in un punto in cui il sentiero era stretto. Appena vide l'asino, scoppiò a ridere.
"Ma che ronzino hai, amico? — esclamò — Sia­mo forse a carnevale per portarlo a spasso in quel modo?" E non smetteva di ridere.
"Signore — rispose tristemente l'asinaio punto sul vivo — questa bestia, per quanto malandata,mi aiuta a guadagnarmi il pane. Sono sfortunato io e non ho i soldi per comprarne un'altra". "Come? - esclamò il buontempone - è que­st'asina orrenda che ti impedisce di morire di fame? Ma se tra una settimana sarà morta! Tieni - continuò porgendogli un sacco abbastanza pesante - il vecchio Herrera ha un bel mulo da vendere e vuole 1500 reali. Eccoli qui. Compra il mulo oggi stesso e non contrattare. Se domani ti incontro di nuovo con quest'asina orribile, vi getto tutti e due giù da un burrone, com'è vero che mi chiamo Josè Maria "
Quando l'asinaio si ritrovò da solo e con il sacco in mano, credette di aver sognato. Eppure i 1500 reali c'erano tutti. Sapendo quel che vale­va una promessa di Josè Maria, andò subito da Herrera e scambiò i suoi reali con un bel mulo. La notte seguente, Herrera fu svegliato di soprassalto. Due uomini gli avvicinarono al viso un pugnale e una luce smorzata.
"Svelto! I soldi!"
"Ahimè! Miei buoni signori, non ho neanche un quarto con me!"
"Tu menti! Ieri hai incassato 1500 reali per un mulo venduto a un tale di Campillo." L'argomento era così irresistibile che i 1500 reali vennero ben presto consegnati o, meglio, restituiti.

PS. - Josè Maria è morto da molti anni. Nel 1833, in occasione della prestazione del giura­mento alla giovane regina Isabella, il re Ferdi­nando concesse un'amnistia generale, di cui il celebre bandito volle approfittare. Il governo gli concesse persino una pensione di due reali al giorno perché se ne stesse tranquillo. Ma questa somma non era sufficiente alle esigenze di un uomo come lui che aveva molti vizi costosi, per cui fu obbligato ad accettare un posto offertogli dall'amministrazione delle diligenze. Divenne escopetero e si incaricò di difendere le vetture che aveva tante volte svaligiato. Per qualche tempo tutto andò bene: i suoi vecchi compagni lo temevano e lo trattavano con riguardo. Ma, un giorno, alcuni banditi più risoluti degli altri fermarono la diligenza di Siviglia, sulla quale c'era Josè Maria. Dall'alto dell'imperiale, egli rivolse loro un discorso e l'ascendente che aveva sui suoi antichi complici era tale che essi sem­bravano disposti a ritirarsi senza violenza. Ma il capo dei ladri, conosciuto sotto il nome di Bohé­mien (el Gitano), che era stato luogotenente di Josè Maria, gli sparò un colpo di fucile a brucia­pelo e lo uccise all'istante.

 

 
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